Comincio col dire che sì, “sputare fatti” è un’espressione infelice. Non solo troppo letterale, ma anche troppo brutta. Come se l’intento fosse quello di vomitare una verità universale da un palco con tanto di microfono…
Ogni volta che la leggo o la sento, la mia scimmietta semi-professionale nel cervello mi sussurra all’orecchio che ci deve essere un modo più elegante, preciso e, diciamolo, più dignitoso per esprimere lo stesso concetto.

Ormai siamo qua, mi sembra il momento giusto per “sputare” qualcosa anche io, quindi tanto vale che lo faccia per bene. Essendo un argomento vasto, spinoso e dalle mille sfaccettature, sicuramente dimenticherò qualche punto.
Prima di iniziare mi preme fare un’importante precisazione, scontata ma non così tanto:

🪞 Disclaimer 🪞 
Ovviamente, non tutti (aziende, influencer o creator, pubblico da casa) rientrano nelle dinamiche di cui parlo.
Per fortuna esistono anche realtà oneste, professionisti trasparenti e contenuti fatti con cura e intelligenza.
Sono rari come le oasi nel deserto, ma esistono.
Non ho intenzione di offendere nessuno a livello personale: mi limito a osservare, ragionare e farmi (e farti)
qualche domanda, col mio solito sarcasmo
e un sorriso amaro.
Se ti senti chiamato in causa… forse non è un caso.

Avrai capito che tratto sostanzialmente di beauty, di #solocosebelle, di frivolezze che – in teoria – rallegrano le giornate, ma tra rossetti, palette, profumi e skincare, questo mondo patinato nasconde anche riflessioni un po’ più profonde.
Un piccolo angolo di paradiso in cui ogni tanto emerge qualche zona d’ombra. E chi sono io, con tutte le pinzette del caso, per non analizzarla?

So già che qualcuno mi definirà acida, invidiosa, cattiva… ma il sonno non lo perdo, tranquilli.
La mia è più stanchezza, disincanto, fastidio per il buonismo eccessivo, l’autenticità preconfezionata che ormai imperversa ovunque, il solito coro di pecorelle al pascolo con la caption filosofeggiante sotto le foto.
Sai qual è la verità? Che nessuno ha davvero il coraggio di essere scomodo, di esprimere una critica in maniera diretta e genuina, di togliersi i sassolini dalle scarpe. E allora ci pensiamo io e la mia irriverenza – ma senza fare nomi, perché non è questo il punto.

Ultimamente mi capita di osservare come molte persone comunichino sui social. Influencer, creator, aspiranti tali. E più guardo, più mi rendo conto che gira tutto attorno agli stessi meccanismi, alle stesse dinamiche, alle stesse narrazioni stantie.
Quasi come se fossimo prigionieri di un loop infinito di “contenuti creativi” che, alla fine, sono tutti la stessa minestra riscaldata. Sei d’accordo?

Prima di elencarti alcune delle ragioni per cui non sopporto più nessuno, vorrei soffermarmi sulla frase delle frasi:

“La parola influencer non mi piace, preferisco content creator”

Capisco la scelta, sarà una questione d’immagine, però fermiamoci un attimo: innanzitutto, “influencer” non è un insulto. È solo un termine che descrive una persona capace di influenzare scelte, opinioni, e/o comportamenti altrui in maniera consapevole. Un ruolo che, a mio parere, implica una certa credibilità, se non un minimo di competenza e autorevolezza. Il fatto che oggi sia percepito come appellativo negativo, manco t’avessero marchiato con la lettera scarlatta, forse dice molto di più di noi come società rispetto a chi incarna tale ruolo. È il riflesso della frustrazione collettiva, del sospetto costante verso chi ha un pubblico, una voce, una vetrina, ma anche del tentativo di voler sembrare più sofisticati, più intelligenti, più trendy di quel che si è… meno influencer, insomma.
Ovviamente, l’ho già detto, esistono anche influencer che incarnano il vero significato di questa parola, persone quantomeno preparate che costruiscono narrazioni intelligenti, raccontano i prodotti in modo chiaro, li inseriscono in un contesto e spiegano le loro caratteristiche con sincerità.

Purtroppo per noi, viviamo in un’epoca in cui l’apparenza e l’estetica la fanno da padrona: feed curati, palette cromatiche coerenti e coordinate, frasi ad effetto, selfie strategici, una marea di pose e smorfie che in confronto Claudia Schiffer spostati, e un sacco di complimenti che gonfiano l’ego (a loro, a te al massimo gonfiano il fegato). Per carità, le cose belle piacciono a tutti, ma quando il nulla cosmico diventa l’unico valore possibile, quando la forma ha più peso del contenuto, qualquadra non cosa.
Forse è l’intero sistema a dover essere messo in discussione, non ti pare? Non ti sembra tutto troppo perfetto e incriticabile, omologato e deprimente?

Troppo egoismo, troppo individualismo, sui social come nella vita reale.
L’importante è esserci, mettersi in mostra a tutti i costi, ottenere attenzione in qualunque modo.
Nessuno si ferma a pensare. Nessuno approfondisce. Si cercano solo conferme, scrollando via ciò che non ci piace, mettendo a tacere chi non la pensa come noi. Si parla, ah se si parla, ma non si comunica.
Non c’è mai un vero e proprio scambio. Siamo tutti connessi, ma nessuno si sente mai davvero ascoltato.
Andiamo tutti di fretta, non c’è tempo. Siamo tutti uguali: parliamo allo stesso modo, con gli stessi intercalari e perfino gli stessi accenti, copiamo lo stile altrui spacciandolo per proprio, facciamo gli stessi viaggi negli stessi posti. Quand’è che siamo diventati così spersonalizzati?
Tutto deve essere immediato, semplice, preconfezionato. Se un discorso richiede uno sforzo, viene ignorato. Se una voce introduce una sfumatura, una chiave di lettura diversa, viene etichettata come problematica, noiosa. Viviamo in un tempo in cui chiunque (nessuno escluso) si sente legittimato a dire la sua, in qualunque campo, senza filtri e soprattutto senza responsabilità.

E a noi che ce frega? Come si ricollega tutto questo al beauty e ai trucchi?
Ottima domanda, 10 punti a Griffondoro!
Per capire cosa c’è nella mia testa, c’è da fare un’analisi dei tre pilastri principali (e in bilico) della narrazione beauty: influencer, aziende e pubblico, cioè chi costruisce, diffonde e consuma contenuti su questo mondo, tre attori che giocano un ruolo fondamentale e che, a loro modo, contribuiscono alla qualità — o alla mancanza di qualità — del dibattito.

Nel prossimo articolo continueremo a dare mazzate al primo, quello che più di tutti incarna l’ambivalenza di questo mondo: l’influencer.
Non preoccuparti, specie se fai parte della categoria, perché non è una caccia alle streghe a senso unico.

Non si salva nessuno.

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